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GRAVITÀ. UN RACCONTO BREVE.

Traduciamo e condividiamo questo racconto anonimo.


GRAVITÀ

Passarono molti anni. Sisifo si stancò di sollevare il suo masso sulla cresta della montagna, per poi vederlo rotolare di nuovo giù.

“Roccia, vecchia amica”, disse a se stesso una sera, alla fine di una lunga giornata di lavoro, “ho pensato”.

“Sì?” rispose la roccia.

“E se facessimo solo una parte della montagna? Solo fino alla prima curva?”.

“Sai”, disse la roccia, ‘potremmo anche smettere di risalire’”.

“Hm”, disse Sisifo, strofinandosi il mento. “Non salire affatto, insomma?”.

“Rimanere qui e basta. Fare qualcos’altro”.

“Hmm”, disse Sisifo. Pensò alle vesciche, alla pendenza, al sudore negli occhi. Un lavoro ingrato e interminabile. “Forse hai ragione. Tanto spingere le rocce è obsoleto. Mettiti al passo con i tempi”.

“Sul serio”, concordò la roccia. “Chi vuole andare in discesa?”.

Quella notte Sisifo si svegliò pensando a tutte le cose che avrebbe potuto fare se non avesse passato tutto il tempo a spingere un masso su per un pendio. Avrebbe potuto prendersela comoda, per esempio. Voltare pagina. Tornare a scuola. Avrebbe trovato un nuovo progetto che lo avrebbe impegnato completamente, qualcosa per cui impegnarsi davvero.

Al suo fianco, la roccia sognava la gravità e la polvere.

La mattina dopo, Sisifo si alzò prima dell’alba. Guardò la pianura, osservando tutti i panorami dell’Ade. C’erano i Prati degli Asfodeli, una sorta di lottizzazione dove non succedeva mai nulla, e il Tartaro, dove bande di Titani si contendevano il controllo. Riusciva a vedere le Danaidi che trasportavano l’acqua nei loro setacci, Tantalo che cercava il frutto sopra la sua testa, Orfeo che si girava per guardarsi alle spalle, prigioniero del suo stesso sospetto. Era un inferno là fuori, davvero un inferno.

”Roccia, vecchia amica”, esordì, voltandosi verso la montagna, “stavo riflettendo…”

“Oh, ma davvero?”.

E si rimisero in cammino verso la cima della collina.