Riceviamo e inoltriamo un comunicato di alcuni compagni:
Venerdì 23 febbraio Polizia e Carabinieri caricano una manifestazione di circa 100 studenti e studentesse delle scuole superiori e dell’università che in solidarietà alla Palestina volevano entrare in Piazza dei Cavalieri. All’improvviso anche i “sinceri democratici” scoprono che la polizia picchia: è il loro mestiere ed è proprio questo l’ordine pubblico. Picchia come picchiava con i governi Prodi, Berlusconi, Renzi, Letta, Gentiloni, Conte e Draghi. La novità rispetto agli scorsi anni è soltanto che in un momento di crisi come quello che stiamo vivendo non c’è spazio per il dissenso, nemmeno per quello pacifico che esprime indignazione per un genocidio sfilando in città o facendo presidi davanti alle sedi RAI. Il fatto che questa volta ad essere colpiti dalla violenza dello Stato siano stati dei pacifici studenti dovrebbe porre almeno qualche domanda:
Si è finalmente rotta la narrazione che una manifestazione pacifica non subisce cariche?
Per anni le istituzioni e i politicanti hanno accusato chi portava pratiche di conflittualità di piazza di essere dei provocatori, degli infiltrati, degli estremisti. Questa volta dove erano i provocatori?
Non è un segreto che lo Stato abbia il monopolio della violenza che può usare in modi differenti e con diverse intensita in base ai rapporti di forza (oggi più che mai sbilanciati in suo favore) e alla situazione economico-sociale. Da almeno 20 anni un pacifismo, oggi più inutile che mai, ha disarmato materialmente (come le tute bianche che consegnavano i “black bloc” alla polizia nel 2001) ma soprattutto ideologicamente le nuove generazioni con dibattiti infiniti sulla non-violenza, spesso più utili allo Stato dei manganelli della celere. Prenderle, lamentarsi, indignarsi e chiedere che al prossimo giro tutto ciò non accada più invece di arrabbiarsi, organizzarsi, difendersi e contrattaccare.
Non sarà la strategia socialdemocratica della conquista progressiva di spazi di agibilità attraverso accordi con le istituzioni, un numero identificativo sulla divisa, l’indignazione del Rettore dell’Università di Pisa, di Conti, di Giani, della CGIL, del PD, dell’ARCI della “società civile” e dei politicanti di professione a rompere la gabbia della repressione: solo la lotta con le sue pratiche conflittuali può farlo, è il momento di rilanciarle.
Oltre indigazione Rabbia – scarica il comunicato in PDF