Taduciamo e condividiamo questo articolo scritto nel 2022 da un compagno.
Scattare, riprendere, postare immagini delle guerriglie non significa lottare per la libertà, bensì l’opposto. Le foto e i video andranno ad accusare e incatenare chi realmente si ribella, mistificheranno e standardizzeranno la rivolta, allontandandola dalla realtà, mercificandola come l’ultima serie tv in voga.
Coloro che scattano, coloro che riprendono non sono differenti dalle telecamere ambientali, dalle ciminici, dalla DIGOS: meri ripetitori, diffusori del capitalismo stesso, giudici dei suoi tribunali e sbirri delle sue caserme.
DIALOGO IMMAGINARIO UN SOSTENITORE DEL FOTOGRAFARE LA GENTE
Controargomentazioni per chi non vuole contribuire allo spettacolo della fine del mondo, ma far finire il mondo dello spettacolo
28 Giugno 2022
IO: SMETTI DI FILMARE O TI SPACCO LA VIDEOCAMERA!
“Ma le immagini sono solo informazioni incomplete, grezze. Mostrano solo i fatti”.
La ritrasmissione fotografica dei fatti dipende dal punto di vista in cui si trova la persona che scatta la foto, il che la rende soggettiva anche se pretende di essere oggettiva. Questa pretesa di oggettività è una menzogna, non tanto perché una fotografia mente, ma perché pretende di essere vera. Essere uno spettatore, neutrale ed esente dalle relazioni di potere in gioco, può essere solo un’illusione, perché è di per sé un modo di schierarsi, anche se indirettamente. In questo modo, nessuno di coloro che fotografano può essere considerato al di fuori dell’azione. Ci sono dentro, ma dalla parte sbagliata: quella che fissa ciò che è in movimento, virtualizza ciò che è vivo, spettacolarizza la rabbia e la passione e in generale partecipa alla neutralizzazione del potenziale sovversivo della rivolta. Tra coloro che scattano foto, alcuni sono chiaramente nostri nemici, perché si dichiarano tali (poliziotti, giornalisti ufficiali, telecamere di videosorveglianza…). Altri si dichiarano neutrali e partecipano alla propaganda (a nostro favore o no), come le agenzie di stampa più o meno indipendenti. Infine, ci sono altri che si dichiarano amici o attivisti impegnati a documentare le lotte, e persino alcuni che fanno loro stessi cose illegali e le filmano per qualche minuto di gloria virtuale seguito da molte ore di difficoltà molto reali.
“Ma le immagini sono storia, servono alla lotta”.
Le immagini delle lotte sono servite soprattutto a dominare l’immaginazione delle persone. Dagli albori della fotografia e anche prima, hanno creato idoli, scene artificiali che assomigliano a ciò che è reale. Suscitano emozioni, empatia o pietà per alcuni soggetti, paura o invidia per altri. Di per sé non portano alla rivolta, ma al massimo all’indignazione. Le idee e le lotte antiautoritarie hanno spesso fatto a meno delle immagini, perché quasi non esistevano o perché i mezzi per produrle non si adattavano a ciò che il momento richiedeva. Oggi, in una società in cui il controllo e la sorveglianza sono una delle pietre miliari del potere, tutti possiamo ricordare immagini di manifestazioni. Soprattutto quelle che hanno portato direttamente le persone a finire dietro le sbarre, siano esse compagni o sconosciuti.
“Ma le immagini ci proteggono dalla violenza della polizia. Scoraggiano la repressione”.
L’omicidio di George Floyd non è stato filmato? Certo, queste storie si sono diffuse in parte grazie alle immagini, ma chi può dire che non si sarebbero diffuse senza di esse? Il “brusio” non è chiaramente sotto il nostro controllo. La rabbia e la collera sono dovute alla nostra esperienza di oppressione e al fatto che ci riconosciamo nella persona che la subisce perché abbiamo vissuto la stessa esperienza, oppure è dovuta al fatto che l’abbiamo vista da dietro uno schermo? E a cosa servono queste immagini quando il danno è già fatto, a meno che non si creda nella guarigione offerta da un’ipotetica condanna grazie al ricorso delle immagini, anche se questo comporta uno spreco di denaro ed energia e ci si mette nelle mani di uno degli strumenti per eccellenza dei potenti, il sistema giudiziario. Filmando, invece di cercare di impedire la violenza della polizia con l’azione, non lasciamo che avvenga solo in nome di un ipotetico processo futuro: stiamo reprimendo tutti coloro che potrebbero voler agire direttamente contro la polizia per farle assaggiare la sua stessa medicina. Chi vorrebbe opporre resistenza colpendo durante l’arresto se i fotografi o i video operatori stanno riprendendo? Chi cercherebbe di salvare un amico dalle mani dei maiali mentre viene fotografato da ogni angolazione?
Anche se alcune persone potrebbero riuscire a fare ricorso ai tribunali per scagionarsi dalle loro accuse, sappiamo tutti che la maggior parte di loro sarà giudicata colpevole. È un’illusione pensare che un semplice video possa cambiare i rapporti di forza nel sistema giudiziario che, essendo uno strumento dei potenti, non è strutturalmente a nostro favore. E quei pochi, non avrebbero potuto difendersi senza il video? Che ruolo dobbiamo dare alle immagini, anche nel sistema giudiziario, e a quale costo per tutti gli altri che, senza volerlo, si ritrovano in quelle stesse immagini? Il calcolo è meno carcere per uno, più per un altro?
“Ma l’immagine è bellissima. La gente è razionale, conosce i rischi e si travisa. E io ho una tecnica per evitare di creare problemi”.
Ed è proprio questo il problema. Non è altro che liberismo soddisfare il proprio bisogno di piacere e/o di propaganda accettando, o peggio ancora, difendendo e promuovendo la presenza di telecamere, una presenza che può solo danneggiare chi cerca di agire diversamente. Chi non ci ha pensato bene prima dell’intensità di un momento di rivolta, o anche chi è travisato, ma probabilmente non è stato in grado di rimuovere tutti gli elementi potenzialmente identificativi quando è sotto lo sguardo della polizia. È una libertà senza conseguenze pratiche o responsabilità etica per le proprie scelte. Tranne in casi estremamente specifici in cui un gruppo, per ragioni tattiche e politiche, decide di filmarsi, scattare foto riguarda tutti coloro che sono coinvolti in azioni più ampie del proprio gruppo. Non c’è un’inquadratura corretta, una tecnica di montaggio o di sfocatura appropriata, non c’è un buon momento da riprendere o un modo corretto di pubblicare. Ci sono mille e una buona ragione, anche dopo aver preso tutte le precauzioni necessarie, per cui qualcuno non vuole che si sappia che si trovava lì in un determinato luogo e momento. Al giorno d’oggi, in cui molte persone hanno dei vincoli che vietano la partecipazione a manifestazioni, in cui alcuni vorrebbero essere più discreti agli occhi del potere, in cui le immagini, insieme al DNA, sono le prove più importanti per determinare la verità, ogni informazione conta, sia nella società che nelle aule di tribunale. Un conto è che lo Stato continui con i suoi mezzi a perseguire la sporca attività di monitoraggio delle rivolte, un altro è che crei da solo altre immagini di atti illegali. Pensare di poter superare le tecniche della polizia per trovare immagini di terzi – immaginando di inghiottire rapidamente la propria scheda SD prima di essere arrestati, o sognando di cancellare in modo sicuro tutti i propri video, o giocando a fare il super-tagliatore e a sfocare i momenti giusti – non è altro che una pericolosa illusione, su cui gli sbirri contano.
“Ma le immagini sono ovunque. I nostri nemici ne faranno ricorso, quindi perché prendersela con noi?”.
Come ogni battaglia che intraprendiamo, potrebbe sembrare destinata a fallire fin dall’inizio. L’obiettivo non è certo quello di convincere un’opinione pubblica che non esiste, o anche solo di risolvere un problema individuale. Grazie alla loro integrazione nella società tecno-capitalista, l’uso e la diffusione delle immagini sono diventati uno dei pilastri del dominio. Detto questo, anche se le persone non sono d’accordo, su questo argomento e su altri, abbiamo ancora la possibilità di agire. Possiamo distruggere le telecamere, quelle delle città-prigione così come quelle dei giornalisti o di qualsiasi altro smartphone invadente. Possiamo affrontare il danno fatto da coloro che, invece di contribuire al caos, sono impegnati nella sua presentazione narcisistica o autoritaria (filmare gli altri senza il loro consenso per fare propaganda), anche con le migliori intenzioni. Queste azioni potrebbero essere intraprese da chiunque, come un contributo tra gli altri per ampliare lo spazio della rivolta anziché limitarlo e reprimerlo.
Io: ALLORA, HAI INTENZIONE DI METTERE VIA LA MA MACCHINA FOTOGRAFICA O LA DISTRUGGO?
Anonimo