Backgroound Image

L’IDEOLOGIA DELLA COMPOSIZIONE E DELLA TRASVERSALITÀ: COME IL FINE GIUSTIFICA I MEZZI

Traduciamo e condividiamo il resoconto di un compagno in merito al libro scritto da “Les Soulèvements de la Terre” “Prèmeieres Scousses”.

Qui trovate CONTRO IL FAGOCITARE LE LOTTE DA PARTE DE LES SOULÈVEMENTS DE LA TERRE un altro testo scritto da due compagni che abbiamo.


L’IDEOLOGIA DELLA COMPOSIZIONE E DELLA TRASVERSALITÀ: COME IL FINE GIUSTIFICA I MEZZI

Non è stato certo un caso che abbia aperto le “Premières secousses” scritto da Les Soulèvements de la terre… A dire il vero, avevo una vaga idea del contenuto sgradevole che avrei trovato. Infatti, ho ascoltato, letto e partecipato con altri alla critica delle logiche di composizione e strumentalizzazione che pullulano da anni negli ambienti radicali, in particolare da parte dei callisti e degli strani zadisti che negoziano con il prefetto, quindi alla critica di Soulèvements e di solidarizzare con coloro che hanno subito la repressione. Molto è già stato detto (cfr. in particolare il testo “Solidaires, mais pas soulèvements de la terre” in Soleil noir n°6).

La visione intempestiva di un video di tre portavoce di questo movimento (o organizzazione, non sono sicuro) su un sito web di sinistra mi ha fatto decidere di aprire questo libro. Non con piacere, ma per la curiosità di vedere da che parte stavano gli strateghi della composizione e altri “autonomisti pentiti”. È stato grazie a questo video che ho saputo dell’esistenza del libro, pubblicato, non a caso, dal defunto editore leninista Eric Hazan. Il primo shock: non una parola sui feriti di Sainte-Soline nella lunga presentazione. Patetico. Non mi soffermerò sul contenuto: le stesse idee strumentali e gerarchiche cosparse di qualche elemento di linguaggio rivoluzionario e libertario. Bisogna curare la propria immagine. Mi ci sono volute molte settimane prima di decidermi ad aprire questo libro, che era stato riposto in un angolo della mia biblioteca.
Non sono rimasto deluso…

Un’operazione di marketing

Passiamo al libro. Dietro le formule simpatiche e le analisi a volte pertinenti sulla devastazione del mondo, si nasconde in realtà una grande operazione di comunicazione – e un’ossessione – quella di promuovere l’ideologia della composizione e dei piccoli staff cooptati. Dobbiamo “stare insieme” (p. 8). Dietro a chi? Con chi? Insieme a chi? Come? È proprio la risposta dei nostri strateghi che cercavo.

Il nome dell’autore dice già tutto: Les Soulèvements de la terre. Non i partecipanti, e nemmeno i portavoce, ma il movimento nel suo complesso. È in nome di tutti coloro che hanno aderito a questa avventura politica, una volta o l’altra, che scrivono i “molti” autori, ai quali vanno aggiunte “decine di altri” correttori (p.11).
Rappresentazione e gerarchia sono infatti al centro di Les Soulèvements de la terre.

Per quanto riguarda i riferimenti ideologici, ce ne sono molti: è necessario che ce ne sia per tutti i gusti per rivolgersi al maggior numero possibile di persone. Sono presi in prestito dal riformatore cattolico Bruno Latour, egli stesso sostenitore dell’ideologia cibernetica in gran parte responsabile della devastazione del mondo, o dal leninista Andreas Malm – un riferimento controbilanciato da una breve critica al leninismo verde. Come necessità di marketing, dobbiamo anche attingere alla tendenza intersezionale. Vengono citati, tra gli altri, Simone Weil e Gustav Landauer. Dobbiamo accontentare gli antiautoritari. In breve, si tratta di un piccolo miscuglio confuso.

Il libro, di quasi 300 pagine, ripercorre a lungo le numerose azioni degli ultimi tre anni. Il resoconto del 25 marzo 2023, quando 30.000 persone sono state brutalmente represse dalla polizia a Sainte-Soline, suona come un’autogiustificazione, con un pizzico di vittimismo. Lo apprezzeranno senz’altro le molte persone che si sono lasciate convincere che questa non sarebbe stata altro che una gita di famiglia per due portavoce delle Rivolte della Terra nella trasmissione Quotidien di Yann Barthès… E ancora non una parola per i feriti che hanno rischiato di perdere la vita. Questo sarà fatto alla fine del libro in una frase (p.261).

Il libro alterna descrizioni e analisi teoriche per giustificare gli obiettivi – del tutto pertinenti – scelti (il cemento e le sue fabbriche, i mega bacini , il complesso agroindustriale) o per definire il termine “disarmo” (per evitare di dire sabotaggio, perché non venderebbe abbastanza…).
Legittima anche la necessità di apparizioni televisive, perché qualsiasi battaglia “sarebbe sempre e solo una battaglia mediatica” (parola di politico!), nonché una sorta di strategia a piccoli passi, un mix di azioni dirette e richieste concrete (ad esempio, la richiesta di una moratoria sulle mega bacini), una tappa intermedia prima di una rivoluzione basata essenzialmente sulla sulla sussistenza da un lato e sullo smantellamento dall’altro. Sorvolerò sulla palese ignoranza di cosa significhi “smantellare” l’industria nucleare – e che non può essere considerato un obiettivo ovvio e indiscutibile del movimento antinucleare (cfr. Brennilis) -, o sull’ingenuità del legame tra autonomia materiale e autonomia politica.

Ciò che mi interessa maggiormente è la parte 4: “Costruire un’organizzazione passo dopo passo” (p. 232-273). La mia prima osservazione è che sembra scontato che Les Soulèvements de la terre non siano un movimento, ma un’organizzazione politica, e che lo slogan “non si può sciogliere un movimento” sia stato solo un vezzo retorico di fronte alla minaccia di scioglimento da parte del Ministero dell’Interno. Immagino che
se faccio questa affermazione, sarò accusato di fare il gioco dei poliziotti, un’accusa che viene usata soprattutto per mettere a tacere i critici. In ogni caso, non credo che abbiano bisogno di me…

Funzionalità trasversali piuttosto che orizzontali

L’inizio della storia dei Soulèvements de la terre è istruttivo per quanto riguarda il modo in cui si organizza: tutto inizia con una riunione presso la ZAD standardizzata di Notre-Dame-des-Landes, nel gennaio 2021, con persone, organizzazioni e collettivi cooptati. Si è poi decisa una campagna d’azione ed è da questo circolo iniziale che sono state reclutate molte delle persone attive nei vari comitati che strutturano l’organizzazione.

Stava già prendendo forma una struttura organizzativa abbastanza classica, a metà tra la logica del fronte e quella dello stato maggiore, con l’ossessione di aggregare forze e soprattutto organizzazioni. In breve, formare un fronte comune e riunire logiche antagoniste: i rivoluzionari o coloro che vogliono almeno lottare contro l’esistente e i cogestori del disastro il cui unico obiettivo è riconquistare il potere per amministrare un capitalismo a goccia ecologica.

Per giustificare tutto questo, i nostri strateghi tirano fuori un vecchio concetto: quello della trasversalità, cioè “articolare orizzontalità e verticalità”, il potere dei leader e l’iniziativa spontanea (p. 245). Per la cronaca, le aziende sperimentano questo tipo di gestione da decenni e la sinistra lo aveva teorizzato con un altro nome: “democrazia partecipativa”. La trasversalità è quindi molto simile alla democrazia partecipativa con un pizzico di meritocrazia (“solo le organizzazioni e i gruppi che […] sono regolarmente coinvolti possono influenzare le grandi scelte strategiche e tattiche” (p. 250)), con l’obiettivo di coinvolgere i dirigenti, introdurre la mobilità nella struttura attraverso la formazione e garantire che tutti possano partecipare alle attività, ma senza mai definirne il quadro.

Per dirla in altro modo: “il movimento perde forza, gioia e intelligenza se non lavoriamo per rendere tutti protagonisti”, ma non certo “per un rifiuto di principio della verticalità, che non è sempre sinonimo di coercizione” (p. 251). I nostri strateghi sono i classici politici di sinistra – con l’eccezione che l’obiettivo è quello di prevaricare per rafforzare il potere del movimento/organizzazione.
La forza del movimento/organizzazione, a patto che la spontaneità provenga da gruppi stagionati che non cercano di sfidare il quadro stabilito.

Inoltre, abbiamo imparato che solo le persone con un mandato da uno spazio collettivo hanno il diritto di parlare in un’assemblea. La trasversalità si basa sulla delega di potere. In ogni caso, non è lì che si prendono le decisioni, dato che le assemblee servono solo a registrare le proposte elaborate altrove. Questo ha il merito di essere chiaro. Il problema non è che le persone si presentino alle assemblee con proposte concrete – al contrario, questo può dare energia alle discussioni – ma che non tutti possono farlo. Da dove vengono le decisioni? Nei comitati (comunicazione, formazione, legale, investigativo, collegamenti internazionali, collegamenti con le organizzazioni politiche, contabilità, segreteria, ecc.) e tra i rappresentanti che sono alleati nelle lotte locali. I nostri pacificatori e negoziatori hanno fatto molta strada dalla loro partecipazione alla sepoltura del movimento contro l’aeroporto di Notre-Dame-des-Landes e dintorni, quando la loro propensione a gestire la lotta era già evidente. È stata superata una nuova soglia. Siamo ora in attesa che il primo si candidi alle elezioni o diventi portavoce del movimento.
L’adesione di alcuni uomini e donne al Fronte Popolare potrebbe accelerare i tempi.

La ciliegina sulla torta è che, nel corso di una citazione, viene giustificata la forma partito, mentre vengono menzionati come esempi gli zapatisti e i curdi (basati su organizzazioni militari). Apprendiamo anche che il problema di una gerarchia troppo rigida non è che espropria le persone, ma che è “troppo facilmente bersagliata e distrutta dalla repressione” (p. 247).

Fingendo che non ci sarebbe altro modo di organizzarsi se non reintroducendo la verticalità, che la scelta sarebbe solo tra il potere dei leader e la pura spontaneità, è ovviamente in nome dell’efficienza che la gerarchia viene giustificata. È evidente a tutti che sferrare un colpo a volte significa prepararsi in anticipo, senza aspettarsi tutto dalla spontaneità, e richiede un minimo di coordinamento e di preparazione, anche se solo materiale. Darsi i mezzi per realizzare un’azione collettiva richiede, per ovvie ragioni di sicurezza, una certa opacità – ed è per questo che questa forma di azione non può essere l’unica, tra l’altro. Probabilmente ci sono anche salti qualitativi da fare nella capacità di auto-organizzazione. Ma quello che è certo è che chi è al potere odia soprattutto le rivolte e i movimenti senza leader o volti, senza interlocutori o portavoce, come durante i Gilets jaunes o le rivolte dopo la morte di Nahel. Non c’è bisogno di leader per lottare contro il potere e proporre nuovi modi di vivere, al contrario.

Unità nella composizione piuttosto che diversità

Quasi tutti condividono la semplice idea che è più facile lottare quando si è in tanti, o che le lotte sono arricchite dalla diversità. È stato così negli edifici occupati durante la lotta contro il CPE, nelle azioni gioiose contro i tralicci del THT nel blocco della Normandia, nei blocchi determinati dei Gilets jaunes o nelle manifestazioni selvagge e distruttive dell’ultima lotta contro l’ennesima riforma delle pensioni. La questione è, ovviamente, come si creano i legami e a quale scopo, per evitare che il qualitativo ceda il passo all’ossessione quantitativa.

Le lotte sono belle quando sono vive, quando le posizioni si disintegrano e le contraddizioni vengono superate. Ecco cosa ha detto un ex residente della ZAD in un resoconto pubblicato di recente: “Questo è anche il motivo per cui la Zad è riuscita a esistere così a lungo: con tanti elementi diversi che agivano tutti in modo diverso ma solidale, era complicato per lo Stato intervenire.
La legittimità sociale dei contadini che potevano organizzare blocchi con i trattori, la conoscenza pratica dell’esperienza degli squat e dell’azione diretta portata dagli anarchici, unita ai ritardi nelle procedure legali avviate dai gruppi di cittadini e all’imprevedibilità dei teppisti di strada, tutto questo si è combinato per produrre un’offensiva in continua evoluzione che era
difficile per le autorità da sconfiggere facilmente, da pacificare o da recuperare. Evolvendo verso la falsa unità di composizione, il movimento è diventato più unidimensionale e quindi più facile da attaccare”.

Alcuni dei piccoli staff di SdT hanno sostenuto questa evoluzione. Eppure, già prima del primo tentativo fallito di sgombero da parte della polizia nel 2012, esisteva una complicità tra agricoltori, occupanti abusivi, naturalisti e altri. Complicità che non hanno impedito una lotta coerente “contro l’aeroporto e il suo mondo”: la manifestazione di decine di migliaia di persone è passata sotto uno striscione che intimava ai partiti e ai sindacati di mettere via le loro bandiere, non gradite nell’area, mentre i veicoli dei giornalisti sono stati attaccati. A poco a poco, le cose sono cambiate e l’ideologia della composizione ha continuato a crescere, fino ad abbandonare “l’aeroporto e il suo mondo” per permettere ad alcuni abusivi di realizzare il loro progetto agricolo legale sulla base di una lotta.

Questo resoconto della ZAD ha ragione nel sottolineare che l’adesione non è una solidarietà di base, ma un’unità in cui le logiche opposte devono essere tenute insieme a tutti i costi e le contraddizioni devono essere messe a tacere. Non sono più gli individui, che infilano in tasca la loro tessera, ad associarsi liberamente con gli altri, ma una giustapposizione di posizioni e organizzazioni antagoniste, accanto a parlamentari e altri leader della sinistra: “quando anche le donne elette con il foulard assaltano le linee di polizia, o quando gli autonomisti li accompagnano nelle farandoles (danza popolare francese, tipica della Provenza NdT), è il momento in cui ciascuno non gioca più solo il ruolo che ci si aspetta da lui” (p.256), o “la composizione non è più solo il ruolo che ci si aspetta da lui” (p.256), oppure “la composizione non richiede che gli altri diventino voi, che la Confédération paysanne agisca mascherata o che gli autonomisti non buttino via niente” (p. 257). Traduzione: grazie agli autonomisti per essersi messi in riga e aver abbandonato la critica al potere e alla politica. Les Soulèvements de la terre pone un limite a questa composizione, con un esempio: il rifiuto di far aderire al movimento il sindaco di Val-de-Reuil e il segretario generale di LVMH.
Wow! Grazie per aver chiarito! Restano quindi molte persone da sedurre.

In fin dei conti, i nostri strateghi sono politici come tutti noi, e Soulèvements dela terre è un tipo di partito non più immaginario, un’organizzazione che balla con la sinistra, o meglio che è la sinistra. A mio avviso, qualsiasi oppositore dell’ordine non ha nulla a che fare con loro. I nemici dei nostri nemici non sono sempre nostri amici.

Un ribelle della terra

L’8 aprile 2024, 17 persone sono state arrestate dall’unità antiterrorismo in seguito a un’azione che ha provocato ingenti danni al cementificio Lafarge di Val-de-Reuil. 9 persone sono state processate il 27 giugno a Evreux, ma il processo è stato infine rinviato a dicembre, quando è stata revocata la sorveglianza giudiziaria.

A loro va la nostra solidarietà