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L’ AVVERTIMENTO

Conidiviamo uno scirtto di Alfredo Facchini


L’AVVERTIMENTO

“Gaza non è un vuoto da occupare.
È una terra satura, impregnata del sangue dei suoi martiri. Non sarà “Tel Aviv” a governarla. Non sarà nessuna capitale straniera. La governerà il suo popolo, quello che resiste.”
È arrivato l’avvertimento. Forte e chiaro.
«Stiamo entrando in un buco nero». È l’ammissione del Capo di Stato Maggiore di Israele, Eyal Zamir.
Quel buco nero ha un nome: Resistenza.
Temono che l’invasione si trasformi in mesi di sabbia e sangue. In corpi ricoperti da lenzuoli e sacchi neri.
Temono la pazienza armata. Temono il prezzo. Perché sanno che sarà alto. A Gaza, tra le macerie e nelle vene sotterranee di una città che non si piega, c’è ancora una parola che resiste.
Non è Hamas.
Non è la jihad.
Non è il Fronte Popolare per la Liberazione.
Non è Fatah.
È Resistenza.
Con l’occasione, lasciatemelo dire: qui da noi, la parola “Resistenza” fa storcere la bocca a molti. Troppi. Nei salotti, nelle bacheche, nelle conversazioni “impegnate” da aperitivo, la Resistenza è un termine che stona, che rovina la foto profilo. Si preferisce parlare di “pace” in astratto, di “dialogo” senza dire mai da che parte stare. È un sostegno sterilizzato, senza rischio, senza storia, senza sangue. Insopportabile.
Una parola che i pro-Palestina della domenica non pronunciano mai. Ma la Palestina non è un hashtag. Non è un orrore da commentare per sentirsi “giusti” per un pomeriggio. È una ferita aperta da decenni.
Chi sta con la Palestina, ci sta sempre. Oppure non ci sta affatto. Ci sta quando le piazze sono piene e soprattutto quando sono vuote. Non ha bisogno di spettatori occasionali. Stare dalla parte della Palestina significa stare, prima di tutto, dalla parte della
Resistenza. Senza se. Senza ma.
La Resistenza non si fa in guanti bianchi e livrea. Non è gentile. Non arriva con il permesso dell’occupante. Non si presenta con i fiori, e nemmeno con la Costituzione in mano. Si fa con quello che si ha. Perché chi non ha più nulla da perdere, lotta con tutto ciò che gli resta.
Non spetta a noi dire come si resiste. Né nel loro nome, né nel nostro.
Alfredo Facchini
P.S.: La Risoluzione dell’Onu 3070, del 1973, afferma che il “diritto di ogni popolo a resistere in qualsiasi modo di fronte alla barbarie colonizzatrice e criminale, inclusa la resistenza armata. È un diritto inalienabile”.
La Risoluzione dell’Onu 3246 del 1974 “riafferma la legittimità della lotta di un popolo per liberarsi da una dominazione coloniale e straniera, con tutti i mezzi possibili, inclusa la lotta armata”.
Lo ha stabilito l’ONU come si fa la Resistenza.
Oltre 50 anni fa.